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sabato 26 marzo 2016

Una vita al Massimo


Massimo è un giovane adulto di 28 anni, un uomo che tutti chiamano ancora ragazzo, e a lui va bene perché ragazzo si sente
Vive a Milano e lavora per una grande azienda, una di quelle che ha a che fare con l'informatica. 
Massimo è felice e lavora con dedizione, per adesso è ancora uno stagista, ma impara tante cose ogni giorno e ha opportunità di crescita. In due anni ha conosciuto tante persone che ora chiama amici. 
Condivide un appartamento con altri tre che calzano le sue stesse scarpe: uomini-chiamati-ragazzi, emigranti. Il fine settimana lo dedica alle serie tv, all'abbordaggio di ragazze su tinder, talvolta nei locali, e alle seghe solitarie. 
Adesso è pasqua e Massimo torna giù in Calabria dai genitori, quelli che l'hanno sempre amato incondizionatamente e che pagano gli affitti, ma anche dalle nonne, nonni, zii, cugini, che non pagano gli affitti, ma portano qualche soldo in tasca quando occorre. 
Massimo ritorna Massimino, e la maschera milanese rimane a Milano, o forse alla sua faccia milanese sovrappone la maschera calabrese che lascia sempre in Calabria. 
Massimino è felice della sua routine e nulla sa della vita o di quelle degli altri.
Intanto pasqua è finita, la colomba si digerisce nella pancia, e il treno prende il volo per Milano.
Massimo è seduto, viaggia, ti aggiunge su facebook, commenta le tue foto, ride alle tue battute.
Massimo è stanco.
Massimo dorme. 
Se ti aspetti che Massimo faccia qualcosa di straordinario (così), non hai capito un cazzo!

#SvegliaMassimo
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mercoledì 2 marzo 2016

A Ruota Libera


L’internauta medio sguazza nel fango della  polemica, e lo sappiamo tutti. 
Si rallegra dell’inutile litigio, e goffamente imbastisce  i discorsi sentiti il giorno prima alla tv dall’opinionista di turno, piroettando attorno a quei 2-3 concetti che gli sono rimasti nella testa, come un ippopotamo che rotola nella terra argillosa, ma con l’essenziale differenza che quest’ultimo, però, alla fine compie davvero qualcosa che di per sé è utile.

Ma questo tipo di internauta, non lo capisce, non lo capisce che così spreca il suo tempo, non capisce che non crea un pensiero proprio. E per farlo dovrebbe pensare, non solo credere di pensare –il ché è difficile: chi ripete un concetto già sentito, nel farlo, pensa di pensar qualcosa.

Questo perché la mente umana è labile, plastica, malleabile, e talvolta codesto è un bene, talvolta è un male. E' male quando è soggetta al brainwash della televisione o dei giornali o dei politici (ma la lista è più lunga). 

Ma cosa fare allora? 
Saranno allora tutti condannati, fino al resto della propria esistenza, a presenziare in questo limbo della sudditanza? 
L'argomento era già stato trattato tempo fa su questo stesso blog, seppur in altri termini, e anche in altra discussione (forse su un forum) di cui non ricordo l'indirizzo; ad ogni modo la risposta della maggioranza degli utenti era decisamente pessimista a riguardo. 
Ma io sono d'altro avviso. 

Penso che la colpa sia della società desensibilizzante che abbiamo costruito (seppur in buona fede, voglio credere) ma ho la consapevolezza che questa non è una realtà immutabile. La società sarà sempre il calco delle nostre azioni, e se continuiamo a farci i cazzi nostri e pensare che i problemi li debbano risolvere gli altri, allora avremo anche persone che penseranno al posto nostro (facendoci credere di pensare, appunto). 

Sempre troppo impegnati dal nostro "fare" -carriera, studio, cazzeggio- senza capire che la vita sfugge e si svuota di significato. 
Il piacere dei vizi è gratificante nel momento, ma conduce inevitabilmente alla depressione di chi ha smarritto la bussola dell'orientamento. 
Basterebbe aprire gli occhi e porsi due domandine:
  • che posso fare per migliorare la mia vita?
  • che posso fare per migliorare quella degli altri?
Sono quesiti che provo a pormi di tanto in tanto, e cerco risposte. Ve li porgo con piacere anche a voi questi interrogativi. 
Soprattutto agli internauiti medi.

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lunedì 4 gennaio 2016

Le buone abitudini per vivere meglio


Oggi siamo campioni del lavoro socialmente inutile
Ci siamo attrezzati per creare occupazioni le quali senza vivremmo lo stesso, e magari anche meglio!

Eppure il lavoro è pari ad un 1/3 della vita adulta, e per questo dovrebbe essere una scelta ponderata, un qualcosa per cui valga davvero la pena investire il proprio tempo, che a differenza del danaro va in un solo senso e non ritorna mai fra le proprie mani, quindi è la cosa più preziosa e impercettibile che ci sia data in questa vita. Vita che di per sé è somma di esperienze, positive e negative -seppur quelle negative, con la lente di ingrandimento degli anni che scorrono, si tramutano (talvolta) in fatti positivi, perché ci permettono di maturare, cambiare, migliorare- ma soprattutto la vita è un alternarsi, un ripetersi, di abitudini. 
Come un vecchio detto dei nativi americani diceva:
 Dentro di noi abbiamo due Lupi, uno buono e uno cattivo, quale nutrire è nostra scelta. 
E' per questo che dovremmo nutrire le buone abitudini.

Personalmente, reputo che 
a)  prendere un po' dal Cristo cristiano -fare agli altri quello che vorremmo esser fatto a noi-,
b) un po' dal Karma -le buone azioni premiano, mentre quelle cattive castigano-, 
c) un po' dalla sicurezza in sé stessi -soprattutto in questi tempi di incertezza-,
reputo sia un pattern adatto a superare qualsiasi tipo di insoddisfazione personale, che tra l'altro nasce proprio dal non impiegare il tempo nella maniera giusta, non spendendolo cioé in ciò che vorremmo (e che in realtà non è quello che pensiamo di volere!), mentre così facendo, ci troveremmo ad occuparci degli altri, della società in cui viviamo, del futuro che faremo eriditare ai pargoli, e indirettamente di noi stessi!

La cosa più idiota, in questi tempi di lavoro socialmente inutile, è che sia proprio il lavoro a qualificare lo status e la dignità di un individuo, mentre tutti si dovrebbero stimare e andare fieri solo delle azioni compiute per rendere questo posto, un posto migliore. 

Vorrei che più persone ci pensassero sù. 

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