Alla crescita del benessere del proprio Paese, ben si coniuga la crescita personale, volendo potremmo definirla crescita della coscienza.
La consapevolezza che le nostre azioni hanno un seguito, diretto e indiretto, nel mondo in cui viviamo.
Lo stile di vita del tipico occidentale è molto incentrato sull'avere, dal circondarsi di oggetti tecnologici e accessori di varia natura che vengono rimpiazzati poi con una certa ciclicità.
Se dopo andiamo a studiare come questi beni siano prodotti, ci accorgiamo allora della complessa operazione: componenti dall'India, elementi dall'Africa, assemblaggio nell'est Europa, business plan dall'America ...
Praticamente una danza frenetica che si balla da capo a capo del Pianeta, con anche un costo in termini di inquinamento dovuto agli spostamenti.
Alla fine l'oggetto viene creato, entra nelle varie catene di distribuzione e noi tutti andiamo a comprarlo, con anche un certo senso di appagamento... poi magari dura tanto quanto il tragitto negozio-casa, ma un senso di benessere c'è.
Purtroppo, questa felicità generata dallo shopping è del tutto velleitaria. Non è altro che un colmare un vuoto della propria esistenza -è un po' come quando si viene lasciati e rimpiazziamo il partner con gelato a volontà nel cuore della notte. Il consumismo è la descrizione di un malessere interiore.
Quindi, lavorando prima di tutto su noi stessi, analizzando quali siano gli aspetti importanti delle nostre vite, sul piano materiale e spirituale, psichico e fisico, possiamo trasmettere i valori giusti da marcare alla società -che altro non è che l'impronta di noi.
Le teorie di Post-Sviluppo, che danno origine alla cosidetta decrescita felice (produrre di meno per vivere meglio), volgono proprio in tal senso.
Mantenere una globalizzazione sul piano dei contatti e dell'informazione, e smorzare questo pazzo modo di produrre.
Possiamo sforzarci di soddisfare i nostri bisogni (che sembrano tanto un pozzo senza fondo) spremendoci le meningi e utilizzando le risorse che si hanno a livello locale.
D'altronde è proprio così che la rivoluzione industriale è nata.
Il carbone prima del Settecento era semplicemente una pietra sporca. Solo nel momento in cui ci si è posti la giusta domanda -come trasformare questo bene inutile ma abbondante in una risorsa?- ne è nato il boom che tutti conosciamo.
Allora, la chiave sta nel trovare la domanda giusta da chiederci.
La consapevolezza che le nostre azioni hanno un seguito, diretto e indiretto, nel mondo in cui viviamo.
Lo stile di vita del tipico occidentale è molto incentrato sull'avere, dal circondarsi di oggetti tecnologici e accessori di varia natura che vengono rimpiazzati poi con una certa ciclicità.
Se dopo andiamo a studiare come questi beni siano prodotti, ci accorgiamo allora della complessa operazione: componenti dall'India, elementi dall'Africa, assemblaggio nell'est Europa, business plan dall'America ...
Praticamente una danza frenetica che si balla da capo a capo del Pianeta, con anche un costo in termini di inquinamento dovuto agli spostamenti.
Alla fine l'oggetto viene creato, entra nelle varie catene di distribuzione e noi tutti andiamo a comprarlo, con anche un certo senso di appagamento... poi magari dura tanto quanto il tragitto negozio-casa, ma un senso di benessere c'è.
Purtroppo, questa felicità generata dallo shopping è del tutto velleitaria. Non è altro che un colmare un vuoto della propria esistenza -è un po' come quando si viene lasciati e rimpiazziamo il partner con gelato a volontà nel cuore della notte. Il consumismo è la descrizione di un malessere interiore.
Quindi, lavorando prima di tutto su noi stessi, analizzando quali siano gli aspetti importanti delle nostre vite, sul piano materiale e spirituale, psichico e fisico, possiamo trasmettere i valori giusti da marcare alla società -che altro non è che l'impronta di noi.
Le teorie di Post-Sviluppo, che danno origine alla cosidetta decrescita felice (produrre di meno per vivere meglio), volgono proprio in tal senso.
Mantenere una globalizzazione sul piano dei contatti e dell'informazione, e smorzare questo pazzo modo di produrre.
Possiamo sforzarci di soddisfare i nostri bisogni (che sembrano tanto un pozzo senza fondo) spremendoci le meningi e utilizzando le risorse che si hanno a livello locale.
D'altronde è proprio così che la rivoluzione industriale è nata.
Il carbone prima del Settecento era semplicemente una pietra sporca. Solo nel momento in cui ci si è posti la giusta domanda -come trasformare questo bene inutile ma abbondante in una risorsa?- ne è nato il boom che tutti conosciamo.
Allora, la chiave sta nel trovare la domanda giusta da chiederci.
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