mercoledì 20 aprile 2016

Mangiamo quel che siamo



Siamo quel che mangiamo. 
Così diceva Ludwig Feuerbach, e sicuramente torto non aveva, visto che il cibo influenza la nostra salute -regolando le funzioni del corpo e gli ormoni, e non solo- ma soprattutto dipinge chi siamo, quale sia la nostra cultura, il nostro credo, il nostro status sociale:
gli arabi non mangiano il maiale, in europa non mangiamo i gatti o le cavalette, i ricchi (tendenzialmente) stanno più attenti a comprare pietanze di qualità, mentre i servi della gleba (tendenzialmente) prediligono una dieta molto calorica, concentrandosi più sulla quantità che la qualità.
Insomma, mangiare è molto più del solo atto in sé, ma è una funzione che racconta tanto di noi sul piano biologico e su quello socio-psicologico.
Il piatto che arriva sulla tavola parla delle nostre aspettative di vita e del nostro posto nella società, perché una dieta sana è un passo verso la longevità, e la scelta di cosa mangiare ci riporta alla dimensione spaziale (geografica) e culturale definendo il luogo in cui viviamo, il nostro culto, il nostro livello di istruzione, il nostro carattere. 
Il cibo sulle tavole rispecchia anche le nostre paure, le nostre ansie. In un mondo in cui il cittadino comune si allontana dalla filiera alimentare, demandando a terzi attori la produzione, la trasformazione, la distribuzione del cibo, il consumatore non trova posto, e si riduce il suo grado di fiducia nei confronti delle pietanze, ed esterno all'intero processo che riguarda la creazione degli alimenti non gli resta altro che affidarsi al dogma delle etichette (quando ci sono), alle informazioni date alla tv, ad internet. Inutile dire che le misure di controllo personale sono del tutto inefficaci: 
troppi attori intervengono nella filiera, spesso a latitudini e longitudini opposte, con regole di produzione, conservazione, trattamento, completamente differenti, dove l'alimento puro della terra viene trasformato e poi addizionato ad altri prodotti -che non è detto che siano necessariamente compatibili- andando a creare così una sorta di UFO, un Unidentified Food Object (per dirla alla Fischler). Insomma, passaggi troppo complessi per essere raccontati chiaramente e brevemente con una etichetta.
Gran parte di questo sistema è indubbiamente figlio della globalizzazione, un fenomeno tutt'altro che naturale, ma politico. E quindi non è vero che sia IRREVERSIBILE, come molti al contrario sostengono (vedi Bauman).
E se il disegno politico cambia, allora cambiano interamente le regole del gioco, e con loro anche il cibo che arriva in tavola. 
Se mangiamo schifezze un motivo ci sarà.

#Mangiamo quel che siamo.

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1 commento:

  1. e quando (il se, in realtà, non è possibile!!!) entrerà in vigore il TTIP ..............

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